“Il Vajont di tutti, riflessi di speranza” è una pièce teatrale, scritta, diretta ed interpretata da Andrea Ortis, autore, attore e regista friulano. Lo spettacolo si snoda su due binari narrativi paralleli, ma dai diversi punti di contatto; i quali per l’intero svolgersi del racconto si sovrappongono, scambiano, alternano pur mantenendo connotati identitari e riconoscibili. Da una parte si assiste ad un dettagliato racconto dello scenario storico del secondo dopoguerra, con particolare riferimento per gli anni 40, 50 e 60.
Un vero e proprio viaggio nell’umanità italiana del periodo, all’interno della civiltà contadina di Provincia, nelle radici dialettali e popolari del nostro paese, nell’incredibile varietà di tradizioni ed usi che, rappresenta un patrimonio ancor oggi inestinguibile e straordinario. È questa l’Italia che vuole rialzarsi dopo lo sfacelo delle guerre mondiali; l’Italia che Inventa, che scopre, che sperimenta, l’Italia delle grandi opere civili che, in meno di vent’anni, ricostruisce sé stessa e parte del proprio futuro. Dall’altra “Il Vajont di tutti, riflessi di speranza” presenta la reale ricostruzione degli accadimenti processuali relativi alla tragedia che colpì il 9 ottobre 1963 la terra a confine tra la provincia di Belluno e quella, al tempo, di Udine, (oggi Pordenone) conosciuta come: disastro del Vajont.
“Il Vajont di tutti, riflessi di speranza” nella forma espressiva del teatro di narrazione, rende attuale un racconto che, pur parte di un recente passato, dichiara tutta la sua triste attualità nel malaffare e nell’avidità dell’uomo. L’ottuso conseguimento di un crescente profitto, la lontananza dalle regole e da ogni genere di attenzione alla sicurezza, l’ingordigia di pochi a scapito di molti, le pericolose combine tra Impresa e Politica sono elementi purtroppo, comuni a tutte le maggiori tragedie che hanno colpito il nostro Paese. Così, questo racconto, nel suo incedere, diventa il racconto di Sarno, Ustica, Viareggio, fino alle tristi vicende di San Giuliano di Puglia, Amatrice, L’Aquila, Rigopiano. Il comune denominatore è l’uomo e la sua violenza nei confronti dell’ambiente, la sua scientifica aggressione alla natura; l’uomo che disbosca, che crea bacini artificiali, l’uomo che cementifica e costruisce abusivamente, l’uomo che edifica senza regole, l’uomo che calpesta tutto e tutti, lanciato alla ricerca di un profitto crescente e di un potere migliore. Il desiderio di riscatto e di facili guadagni, la bramosia avida di tecnici ed imprenditori, il poco controllo dello Stato, connivente, spesso con i poteri forti del tempo, portano alla Tragedia del 1963, nella quale oltre 2000 vittime innocenti perde la vita. “Il Vajont di tutti, riflessi di speranza” attraversa in tal senso, in maniera biunivoca, il respiro di un mondo, nello scorcio storico del secondo dopoguerra, che sta accelerando, una vera e propria rivoluzione industriale, tecnologica, culturale e antropologica e, nel farlo, si dimentica completamente dell’uomo e della sua sicurezza, soprattutto, si dimentica, dell’umanità di Provincia, delle comunità rurali, delle categorie anziane che, di fatto e ancor oggi, sono il patrimonio più caratterizzante e di valore del nostro paese Italia. Il Vajont di tutti, riflessi di speranza” è, in tal senso, anche una storia di speranza e forza, il racconto della dignità di chi decide di andare avanti, di credere alla ricostruzione mantenendo viva la memoria, la storia dell’orgoglio della gente d’Italia, operosa, il cui concetto di comunità è il tessuto vitale sul quale, fortunatamente, si può ancora sperare. Ogni essere umano, nel racconto della propria vita ha, prima o poi, a che fare con il dolore, qualunque esso sia. È in quell’attimo che si può scegliere: fermarsi o andare avanti? La storia del Vajont è la storia di tutti.
Il narratore (Andrea Ortis) fa entrare il pubblico in una specie di viaggio nel tempo, avvincente e zeppo di tensione. Il suo racconto è intervallato dalla presenza in scena di 2 ambienti differenti, lo studio dell’ing. Carlo Semenza, responsabile del dipartimento di idraulica della SADE e progettista della diga del Vajont e la casa di Tina Merlin unica giornalista dell’epoca a lottare strenuamente a fianco delle popolazioni montane deboli e, assolutamente, calpestate nei diritti. Il narratore entra ed esce dal tempo, raccontando lo scenario storico del secondo dopoguerra, le dinamiche geopolitiche della rinascita, la rivoluzione musicale e di costume, quella tecnologica e civile. Una serie di proiezioni animate diventa un supporto storico- documentale di assoluto valore sia esso riferito alla narrazione dello spaccato storico degli anni 40, 50, 60 con l’immaginifico di tutti i più grandi accadimenti del tempo, dei più importanti personaggi del periodo, sia esso riferito agli accadimenti relativi alla tragedia del Vajont. Si assiste all’alternarsi tra passaggi narrati e momenti in cui Carlo Semenza e Tina Merlin grazie all’intervento di due attori, svolgono la loro azione scenica in una sorta di flashback temporale riportato ai fatti dell’accaduto ricostruiti nel dettaglio del processo e delle sentenze definitive.
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